Osservare le dinamiche dei traffici marittimi, di come cambiano le rotte, dei traffici nei porti e del passaggio delle navi nei grandi snodi globali come Suez o Gibilterra aiuta a capire come sta cambiando l’economia mondiale. Dal mare transita oltre il 70% (in valore) e il 90% (in volume) di tutto l’import-export globale. Trasporti marittimi e logistica valgono circa il 12% del Pil mondiale. Ecco perché la fotografia di questi flussi consente di comprendere gli impatti geoeconomici dei cambiamenti in atto e di come questi modifichino gli equilibri globali. È questo il panorama che offre il 9° Rapporto annuale sull’economia marittima che viene presentato oggi a Napoli da Srm, Centro studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo.
Emerge con chiarezza un cambiamento molto forte che è in atto, iniziato probabilmente già prima della pandemia ma poi accelerato durante i due anni di Covid e ora, in questo 2022, con la guerra in Ucraina. Osserviamo cioè un ripiegamento della globalizzazione in chiave più regionale, con le supply chain che si accorciano per essere meno esposte a rischi geopolitici e ai colli di bottiglia logistici. Questo processo rafforza la tendenza al reshoring e al friendshoring, ossia la ricollocazione dei siti produttivi vicino ai mercati di sbocco e soprattutto in aree geografiche più affini e “amiche”. Si stima che il 60% delle aziende europee e statunitensi preveda nei prossimi tre anni di far rientrare parte delle proprie produzioni asiatiche in Europa e negli Usa.
Sta cambiando anche un altro paradigma che ha caratterizzato il ventennio della globalizzazione: il modello del just in time. In un mondo che girava velocemente, dove merci e persone si spostavano con rapidità e relativa puntualità, a fronte di un’esigenza di materiale, si chiamava il fornitore e, tempo pochi giorni, la merce sarebbe arrivata a prezzi sostanzialmente stabili. Oggi sappiamo che non è più così…